2017-09-09 09:00:00

Il vescovo di Tibú: pace in Colombia, processo molto lento


di Giada Aquilino, inviata a Bogotá

Una delle zone della Colombia che negli anni è stata particolarmente colpita dal conflitto è quella di Tibú, nel dipartimento di Norte de Santander, nel Nord del Paese, al confine col Venezuela. Lì, l’azione della Chiesa prosegue in un processo di accompagnamento verso un futuro di distensione che, al momento, appare ancora lungo e difficile. Ce ne parla mons. Omar Alberto Sánchez Cubillos, vescovo di Tibú:

R. - Nella nostra regione ci sono i tre gruppi che hanno fatto la guerra in questi 50 anni: l’Epl - l’Esercito popolare di liberazione, che in questo momento è molto attivo - l’Eln, l’Esercito di liberazione nazionale, e le Farc. In una parte della diocesi c’è una zona dove sono presenti anche i paramilitari.

R. - Come ne sta uscendo la sua zona e tutto il Paese?

D. - Per noi è stato importantissimo il passo che hanno fatto le Farc, un gruppo molto presente sul territorio che compiva grosse azioni contro lo Stato. Quindi per noi è stato un passo in avanti. Anche il governo sta facendo uno sforzo, anche se non sempre preciso e corretto. Quindi mancano alcuni elementi nell’implementazione di questi accordi che sono molto importanti da parte dello Stato, dei gruppi guerriglieri e della società civile. Tutti stiamo facendo un grande sforzo, ma lì, la realtà è troppo complessa perché ci sono gli altri gruppi con una presenza molto forte.

D. - Come parlare di diritti umani e dignità oggi?

R. - Non c’è un consenso, non c’è una linea comune di pensiero. Diciamo che la grandezza di una cultura si può misurare dal rispetto della persona: purtroppo, però, ognuno crede di avere il diritto di fare male all’altro e nello stesso tempo di reclamare il rispetto dei propri diritti. La guerriglia può uccidere, però non accetta azioni violente che colpiscono i suoi gruppi. La questione è molto complessa: il discorso è chiaro, ma la realtà è un’altra. Bisogna continuare a fare sforzi per cercare di far capire a tutti il valore della dignità umana, della persona, cosa non facile in un contesto così.

D. - Come parlare di perdono nel rapporto tra ex guerriglieri e vittime?

R. - Sono processi personali e  collettivi, ma sono processi lenti. Nessuno può obbligare al perdono. Ci sono processi, accordi previsti; i gruppi che hanno provocato del male devono chiedere perdono, però il perdono di chi è stato vittima è un’altra cosa; il perdono della società a questo gruppo, il perdono del gruppo ad altre azioni dello Stato … Quindi è la somma di troppi processi insieme. Almeno per il mio territorio penso che prima di 15 o 20 anni non vivremo un clima tale da poter dire: siamo giunti alla prima parte di una pace sostenibile; l’elaborazione del lutto, del dolore delle vittime. Siamo riusciti a capire il passato per evitare nel futuro che cose del genere accadano di nuovo … Tanti, troppi processi, dove tutti dobbiamo impegnarci. La Chiesa deve dare il suo messaggio. La società deve aprire il cuore ad una  grande capacità di perdono e riconciliazione, che non si può fare per decreto, e i gruppi dovranno fare un ritorno a una vita che non sanno fare perché hanno fatto la guerra. Quindi penso che non sarà facile, però se non facciamo il primo passo non ci sarà il secondo, il terzo, il quarto ….

Ascolta l'audio e scarica il podcast dell'intervista con mons. Omar Alberto Sánchez Cubillo








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