2017-09-27 12:18:00

Mons. Tomasi: no del Papa alle armi nucleari crea una mentalità nuova


di Adriana Masotti

Ieri la Giornata internazionale dell'Onu per la totale eliminazione delle armi nucleari, ricorrenza sottolineata anche dal Papa con il tweet: "Impegniamoci per un mondo senza armi nucleari, applicando il Trattato di non proliferazione per abolire questi strumenti di morte".
Francesco si è sempre espresso con forza, fin dall'inizio del suo pontificato, per il bando delle armi nucleari per il loro forte impatto umanitario e anche la spesa che dilapida la ricchezza delle nazioni; due anni fa ne ha parlato anche in sede Onu. Ma in questi anni la voce di Francesco è stata ascoltata? Ha influito in qualche modo sul questa questione? Ecco che cosa risponde l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, segretario delegato del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e Osservatore permanente emerito della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra: 

R. - A me sembra di sì, perché, di fatto, nel novembre del 2014 c’è stata una grande Conferenza sponsorizzata dalle Nazioni Unite sugli effetti umanitari delle bombe atomiche. Lì, Papa Francesco ha inviato un messaggio molto importante che per la prima volta sottolineava il fatto che non era accettabile che si potessero, non solo usare, ma anche possedere bombe atomiche. Il dibattito che seguì è stato molto vivace, ma alla fine i circa 160 Paesi che erano presenti, di fatto, accettarono di cominciare a riflettere per trovare una strada per mettere al bando completamente non solo l’uso, ma anche il possesso delle armi atomiche. Dopo di questo, in una lettera al presidente della Commissione che ha preparato il testo di una Convenzione sulla proibizione delle armi nucleari, il Papa è stato molto chiaro e i punti concreti da lui proposti sono stati sostanzialmente incorporati nella nuova Convenzione che è stata firmata nello scorso luglio.

D. - Nella Giornata dell’Onu per la totale eliminazione delle armi nucleari, che si è celebrata ieri, il Papa nel suo tweet ha chiesto l’applicazione del Trattato di non proliferazione ma, come sappiamo, proprio la Corea del Nord che lo aveva ratificato, adesso ha fatto un passo indietro. Le chiedo: che validità possono avere allora queste leggi? Manca, secondo lei, un assetto giuridico applicabile ad una simile materia?

R. - La nuova Convenzione non è, certamente, la risposta completa all’articolo VI del Trattato di non proliferazione che chiede che venga sistematicamente discusso e attuato un disarmo generale per quanto riguarda le armi atomiche. Però è anche un grande passo in avanti dal punto di vista legale, perché delegittima le armi nucleari, come era stato fatto in precedenza nei Trattati per mettere al bando le mine antiuomo, le bombe a frammentazione ecc… Quello che mancava era un documento, un accordo esplicito della comunità internazionale per proibire anche quest’altra  fonte di possibile distruzione di massa rappresentato dalle armi nucleari. Quindi possiamo dire che adesso si può fare il passo definitivo anche da un punto di vista giuridico, sperando nel coinvolgimento dei Paesi che possiedono armi atomiche.

D. - Però la Corea del Nord è tornata ad essere minacciosa e il 15 ottobre si rinegozia il trattato sul nucleare iraniano …

R. - È chiaro che la situazione è molto complessa, però, anzitutto, si deve continuare a creare una cultura ed una mentalità che rafforzino il rigetto completo delle armi atomiche. Di fatto c’è quasi una democratizzazione – direi – della discussione sulle armi atomiche che va aldilà dei Paesi importanti che hanno queste armi, e che viene espressa da una vasta maggioranza dei Paesi del mondo. Per quanto riguarda la Corea del Nord, è necessario che il problema sia impostato prima di tutto sul dialogo; creare un muro e creare difficoltà alla possibilità di dialogare non mi pare molto saggio. Però, bisogna anche impostare il problema della risposta al caso della Corea del Nord e ad altri casi simili in un contesto più vasto: la sicurezza, il benessere e la pace, vengono garantiti non tanto dalla minaccia di una distruzione reciproca, ma da una solidarietà che risponde alle esigenze primarie dei Paesi più poveri, più piccoli che cercano di affermare la loro esistenza anche attraverso delle posizioni che non sono accettabili, come lo sviluppo delle armi atomiche. Quindi è vero che ci sono difficoltà, però ci sono le premesse politiche e giuridiche per cercare di trovare una strada nuova che possa influire anche sulla Corea del Nord, perché è una strada aperta a riconoscere le altre esigenze che questo Paese può avere.

Ascolta e scarica il podcast con l'intervista a mons. Tomasi:

 








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