2017-10-01 10:30:00

Papa a Bologna: parole e gesti dei migranti


di Alessandro Di Bussolo

Senza ombrello a proteggerlo dalle prime gocce d’ottobre, Papa Francesco entra nell’hub regionale di accoglienza di via Mattei: indossa il braccialetto giallo con il numero di identificazione, come ogni migrante quando sbarca sul suolo italiano, e saluta uno ad uno ad uno i 500 ospiti.

Migranti che vengono dalla Nigeria, in maggioranza, dalla Costa d’avorio, dal Mali, dalla Guinea, dall’Etiopia ed Eritrea, dal Pakistan e dal Bangladesh. Gli fanno da guida il direttore del centro Giacomo Rossi, e tre operatori della cooperativa Arca di Noè che lo gestisce: Bouchra che viene dal Marocco, Omid, che è iraniano e Tamba dalla Costa d’Avorio. Ci sono giovani dal Bangladesh che indossano magliette bianche sulle quali hanno scritto “Welcome Pope Francesco, we need documents. Good visit to Bangladesh” riferendosi alla prossima visita nel paese asiatico. Un nigeriano alza un cartello, ancora in inglese, e chiede “Open borders, save life, we are children of humanity”.

Qui fino al 2014 c’era un CIe, un centro di prima identificazione ed espulsione, dove i migranti erano come detenuti. Oggi invece restano in media due settimane per avviare le pratiche di richiesta d’asilo e assistenza sanitaria e essere poi inviati a centri di seconda accoglienza nel territorio della città metropolitana. E possono uscire dal centro senza limitazioni, e chi si ferma un po’ di più riesce ad allacciare amicizie, frequenta corsi di teatro e italiano, visita il centro storico di Bologna, aiutato anche da quattro professori volontari che vengono a insegnare la lingua di Dante.








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