2017-10-04 13:00:00

Papa: cristiani perseguitati in Medio Oriente offrono anche la vita. Acs: realtà sottaciuta


di Roberta Gisotti

All’Udienza generale  di oggi il Papa ha parlato della speranza cristiana, ricordando i molti cristiani che ancora oggi pagano “a caro prezzo questa speranza donata loro da Gesù”. Il pensiero di Francesco è andato in particolare ai tanti fratelli e sorelle del Medio Oriente “che danno testimonianza di speranza e anche offrono la vita per questa  testimonianza”: “questi sono veri cristiani”, ha detto, “questi portano il cielo nel cuore, guardano oltre, sempre oltre”. Una realtà di persecuzione nel mondo che riguarda, si stima, almeno 200 milioni di cristiani in circa 50 Paesi. Una verità storica in massima parte sottaciuta, come conferma Alessandro Monteduro, direttore della fondazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, che dal 1947 è accanto ai cristiani perseguitati in tutto il mondo.

R. Purtroppo sì, lo raccontiamo spesso, anche e soprattutto grazie a Radio Vaticana, raccontiamo cioè di comunità religiose – innanzitutto la comunità cristiana – che in troppe aree del mondo continua a subire forme di persecuzione, anche particolarmente aggressive: pensiamo alla Corea del Nord, all’Arabia Saudita, al Pakistan, all’Afghanistan, alla Somalia; e pensiamo a quel Medio Oriente al quale recentemente stiamo dedicando particolare attenzione. Cioè, quei nostri fratelli nella fede, quei cristiani che perseguitati, nonostante la persecuzione, pur di non rinunciare alla loro identità, alle loro tradizioni, quindi pur di non rinunciare a Gesù preferiscono abbandonare qualunque cosa e distaccarsi dagli affetti più cari. Ecco, credo che il Santo Padre oggi – per l’ennesima volta, voglio aggiungere – abbia acceso una grande luce su questa meravigliosa ed eroica realtà dei cristiani perseguitati nel mondo”.

D. Qual è la situazione attuale dei cristiani in Medio Oriente?

R.  Io sono stato più volte, recentemente, in Iraq, nel Kurdistan iracheno ma anche nella Piana di Ninive e mi viene in mente un’immagine, anzitutto. Mentre da noi siamo sempre particolarmente attenti ad indirizzare le nostre antenne per captare i segnali radiotelevisivi, in quei luoghi in ogni container, tenda o appartamento, dove i cristiani perseguitati hanno trovato rifugio, lei sa cosa invece è possibile scorgere? Non l’antenna parabolica, ma una croce. Una grande, enorme croce che connatura ogni domicilio, ogni abitazione. Ecco: questi sono i cristiani in Iraq. La situazione l’abbiamo descritta in modo particolarmente dettagliato la scorsa settimana, nel corso di una conferenza internazionale dedicata ai cristiani d’Iraq, che ha rilanciato una grande sfida, una sfida mondiale che non può riguardare solo “Aiuto alla Chiesa che soffre”, o solo organizzazioni di carità, o solo la Chiesa, ma deve riguardare tutta la comunità internazionale, i governi nazionali. La sfida è quella di far sì che questi cristiani, una volta che il territorio – parlo del Nord dell’Iraq, della Piana di Ninive, dove il cristianesimo è nato – sia stato finalmente liberato da questa organizzazione fondamentalista, terroristica di natura, non è il caso di nasconderlo, islamistica, possano tornare a casa loro. Ma perché non dobbiamo dare loro una speranza? Perché siamo in Europa a lamentarci della pressione migratoria, se non permettiamo loro di restare a casa? E’ una grande sfida alla quale siamo tutti – tutti! – invitato a partecipare.

D. – Parlando di numeri: quali sono quelli che richiedono maggiore attenzione, in questo momento?

R. – Non amo particolarmente i numeri, perché sui numeri spesso ci sono diverse vedute, nel senso che non tutti gli Istituti di ricerca sono coincidenti nella lettura. Ai numeri noi dobbiamo saper dare soprattutto sostanza: dietro ai numeri ci sono le persone. Quando parliamo di cristiani in Iraq, per restare all’appello odierno del Santo Padre, pensiamo ad una popolazione, ad una comunità di 120-125 mila persone che, pur di non rinunciare alla propria fede, hanno preferito lasciare tutto. Ecco, se dobbiamo ripartire da un numero, ripartiamo dai cristiani di Iraq, da questa moltitudine, da questa meravigliosa comunità che – lo ha detto il Papa più volte, lo ribadisco anch’io – eroicamente hanno rinunciato a tutto per potersi sempre dire appartenenti a Gesù.

D. – I cristiani sono perseguitati in tanti Paesi del mondo in odio alla fede, a volte anche per la loro testimonianza individuale, perché la fede significa anche difesa dei diritti fondamentali, difesa della dignità delle persone …

R. – Sì, come possiamo in Italia, in Europa, in Occidente continuare a occuparci di dibattiti correlati alla difesa di libertà di rango inferiore, quando non teniamo presente e centrale la difesa della libertà religiosa, la più importante delle libertà? L’odio alla fede, purtroppo, colpisce la libertà religiosa ed è un dovere da parte dell’Occidente impegnarsi nella tutela della più importante forma di libertà.

Ascolta e scarica il podcast dell’intervista ad Alessandro Monteduro








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