di Massimiliano Menichetti
Tre anni di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e una multa pari a 5mila euro per l’ex presidente della Fondazione Bambino Gesù, Giuseppe Profiti e assoluzione, per insufficienza di prove, nei confronti dell’ex tesoriere, Massimo Spina. Sono le richieste avanzate dal Promotore di Giustizia Aggiunto, Roberto Zannotti, al termine della requisitoria al processo per la distrazione di fondi della Fondazione Bambino Gesù.
Un quadro desolante di silenzi e opacità
Il magistrato ha parlato di “un quadro di fondo desolante”, emerso udienza dopo udienza,
caratterizzato da “silenzi e opacità e pessima gestione della cosa pubblica”. Ribadendo
che il reato di peculato è un delitto che si configura contro la Pubblica Amministrazione,
si è concentrato “sul fatto molto specifico di questo caso, che emerge - ha detto
- in molto chiaro dall’incrocio delle deposizioni dell’imprenditore Bandera,
dell’imputato
Profiti, e di Marco
Bargellini, capo servizio del Servizio Edilizia Interna della Direzione dei Servizi
Tecnici del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.
Le tre deposizioni
Ribadendo che “il fatto non è mai stato messo in dubbio da nessuno”, ha precisato
che i “422mila euro vennero pagati dalla Fondazione” e che “Profiti nella sua deposizione
ha rivendicato questa scelta come una sua decisione personale, non c’è infatti - ha
puntualizzato il magistrato - delibera del consiglio direttivo”. “Bandera ha confermato
che il committente era la Fondazione Bambino Gesù - ha proseguito - e le fatture venivano
a questa inviate ad ogni “stato avanzamento lavori”. “Bargellini ha confermato che
il Governatorato non era a conoscenza che altri stessero pagando per la ristrutturazione
dell’immobile” e ha parlato di “esecuzione dei lavori peculiari” e di “singolarità
rispetto alla prassi”.
Le lettere tra Profiti e il card. Bertone
Ha ricostruito l’intenzione di Profiti di raccogliere fondi tramite la Fondazione
da destinare all’Ospedale Bambino Gesù, citando le due missive agli atti, quella dell’ex
presidente in cui si spiega il progetto e quella del card. Bertone in cui lui assicura
la copertura economica. “Il fatto - ha sottolineato - la decisione di spendere soldi
per la ristrutturazione non è posta in discussione da nessuno e la Fondazione eroga
422mila euro”.
L'eccesso di potere
Il punto del processo per il magistrato si gioca tutto “sulla possibilità o meno per
Profiti di utilizzare i fondi”. Per Zannotti non è sufficiente che lo statuto preveda
dei casi di manovrabilità, in cui “il presidente possa poter mettere in essere attività
connesse, seppur diverse alla raccolta fondi”, perché questa “discrezionalità” incontra
dei limiti. “E’ il tipico caso - ha sottolineato - in cui l’amministratore pubblico
è incorso nell’eccesso di potere, atto apparentemente conforme alla legge, ma che
in realtà non lo è”.
I limiti interni
Per il Promotore di Giustizia Aggiunto è vera la norma presente nello statuto del
2010, invocata la Profiti, che prevede la possibilità di utilizzare fondi, ma “la
Fondazione avrebbe dovuto operare scelte nel rispetto dei limiti interni”, come “la
logica e l’imparzialità”, ma ciò non avvenne. “Tant’è che l’appartamento assegnato
al cardinale dopo la ristrutturazione, non fu utilizzato né da Profiti né dalla Enoc”
e questa spesa venne sostenuta “senza valutare dei ritorni” economici.
L'uso illecito del denaro
Per Zannotti “vi è stata una deviazione dai principi di buona amministrazione, un
uso illecito del denaro, nel destinare 422mila euro per la ristrutturazione dell’appartamento
che non era della Fondazione”. Il solo vantaggio ha proseguito c’è stato per “l’imprenditore
Bandera e per il Governatorato”, invece “per la Fondazione c’è stato solo un esborso”.
Senza un contratto
Rimarcando che “il prof. Profiti è un pubblico ufficiale, che la decisione di destinazione
del denaro è un atto del suo ufficio e il denaro è pubblico”, Zannotti ha precisato
che l’ex presidente ha compiuto una scelta, “senza che ci fosse un contratto. Tutto
avviene - ha affermato - senza passare per un organo gestionale, quasi alla chetichella”.
Segni non prove
Sintetica la ricostruzione per Massimo
Spina. Zannotti ha spiegato che “l’istruttoria non è riuscita a spazzar via i
dubbi sul ruolo che ha avuto l’ex tesoriere”, sul rapporto “tra lui e Profiti”, sull’attività
di Spina che “è stato detto era di mero controllo” della disponibilità dei fondi a
fronte di “una retribuzione di 3mila euro, aspetto questo che contrasta con un ruolo
ancillare e di contorno”. Ha parlato quindi di “segni che non riescono” però “a fornire
prove del concorso” nel reato, prove che “quanto meno sono dubbie”.
Le domande su Bandera
Poi ancora “opacità” riferendosi all’imprenditore Bandera, che nel processo emerge
come “il beneficiario”. Zannotti ha precisato che “l’Ufficio del Promotore lo ha ascoltato
come testimone”, non come “imputato in concorso di reato” anche se “rimangono delle
domande”. “Forse alcune volte - ha detto - è stato retribuito due volte, forse ha
avuto un indebito arricchimento, forse qualcuno dovrebbe bussare alle sue porte per
avere restituzioni”.
Mariella Enoc - Il danno alla Fondazione e Ospedale
Nella mattinata è stata ascoltata anche l’attuale presidente dell’Ospedale e Fondazione
Bambino Gesù, Mariella Enoc, la quale ha confermato di essere in carica dal dodici
febbraio 2015 e che la fondazione ha un nuovo statuto dal marzo 2016. La presidente
rispondendo alle domande dei magistrati e degli avvocati ha ribadito che “la diffusione
della notizia della presunta distrazione dei fondi provocò un gravissimo danno sia
alla Fondazione sia all’Ospedale”.
Il CdA e il bilancio 2014
Il Consiglio d’amministrazione del Bambino Gesù, convocato il giorno stesso in cui
scoppiò il caso mediatico relativo alla ristrutturazione dell’appartamento del card.
Bertone, “non voleva approvare il bilancio 2014 senza la preventiva revisione” di
una società specializzata, la Deloitte. In quel frangente fu ascoltato anche un consulente
della Price. La teste ha precisato “che non fu facile approvare il bilancio 2014,
nonostante la certificazione”, ma era necessario farlo per poter approvare anche il
l’esercizio dell’anno successivo. “Deloitte certificò anche gli anni 2015 e 2016”.
La perdita di 422mila euro
Ha spiegato che “nel bilancio 2014 venne quantificata una perdita della Fondazione
di 422mila euro”, relativa appunto ai lavori decisi da Profiti e che nella cassa della
Fondazione, al suo insediamento, trovò un attivo di 2milioni di euro. Sollecitata
sul punto ha evidenziato che non ha “mai utilizzato l’appartamento” assegnato al card.
Bertone, “sia perché non aveva “una conoscenza diretta” con il Segretario di Stato
emerito, “sia perché non rientrava” nel suo “stile l’organizzazione di cene o eventi
per la raccolta fondi a casa di cardinali o altre autorità”.
Nessun peso alle lettere
Parlando delle lettere tra Profiti ed il card. Bertone sul progetto di fundraising,
ha confermato di averle trovate nei dossier della Fondazione - che non aveva protocollo
- ma di non avergli dato peso perché l’aveva ritenuta “corrispondenza privata” che
“apparteneva al passato”. Per altro tra la presidente e il prof. Profiti “non ci fu
alcun passaggio di consegne”. Enoc ha anche precisato che quando incontrò il card.
Bertone, a novembre/dicembre del 2015, lui disse di non essere “né a conoscenza, né
d’accordo con questo tipo di operazioni”.
Il card. Bertone versa 150mila euro
La teste poi ha spiegato che venne “sollecitata dal CdA a recuperare i soldi spesi”
dalla Fondazione. Si consultò “personalmente con il cardinale” e successivamente scrisse
“una raccomandata per sollecitare il pagamento delle somme relative ai lavori di ristrutturazione
dell’appartamento a lui assegnato”. Il Segretario di Stato emerito “fece rispondere
ad un avvocato dicendo di non essere tenuto al pagamento”, ma “successivamente versò
come gesto di generosità 150mila euro”.
La promessa d'impegno di Bandera
Sollecitata dal Promotore Zannotti, Enoc ha spiegato che poco dopo l’insediamento
“Spina disse che bisognava chiedere a Bandera 200mila euro per i lavori fatti”. “Presi
nota - ha precisato la teste - ma c’erano duemila cose da fare ed ho inviato (a Bandera)
una lettera che Spina scrisse prima della mia nomina”. Ha parlato anche di un incontro
a Milano “qualche giorno prima che fosse ufficializzata” la sua nomina a presidente
dell’Ospedale Bambino Gesù “perché l’incarico era ormai noto”. “Ero presa da tante
attività, sono venuta” a dirigere l’ospedale e la Fondazione “per obbedienza non per
volontà”, ha detto, spiegando di non ricordare se l’ex tesoriere gli avesse parlato
di “cose scottanti”.
Spina pronto a dimettersi
Ha confermato invece un incontro in aeroporto dove presero un caffè insieme, giorni
dopo. Spina si disse “pronto a dimettersi” se Enoc non avesse voluto avvalersi “della
sua collaborazione”. Non ha ricordato però se in quell’occasione l’imputato gli consegnò
un fascicolo sul card. Bertone, ma ha sottolineato che Spina “ha sempre cercato” di
farle “capire che lui era completamente estraneo a questa situazione”. La presidente
Enoc sollecitata sul punto ha anche detto di non aver “tolto il potere di firma a
nessuno” e di ricordare che oltre ad essere tesoriere, Spina, era anche Segretario
generale della Fondazione.
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