2017-11-25 18:52:00

I cardinali di Yangon e Dhaka: pronti ad accogliere Francesco


L’attesa per la visita del Papa in Myanmar e Bangladesh è grande. Francesco parte per Yangon questa domenica 26 novembre alle 21.40 e rientrerà a Roma, proveniente da Dakha, alle 23.00 di sabato 2 dicembre. Il cardinale arcivescovo di Yangon Charles Maung Bo e il cardinale arcivescovo di Dhaka Patrick D’Rozario hanno espresso le speranze dei loro popoli per l’incontro con Francesco in due articoli per L’Osservatore Romano. Di seguito pubblichiamo i testi integrali:

Cardinale arcivescovo di Yangon Charles Maung Bo

Tutto il Myanmar sta attendendo di vedere il nostro caro Santo Padre Francesco. Solo un anno fa sarebbe sembrato un sogno per la nostra gente semplice. Ma Dio è grande e ora abbiamo la grazia inimmaginabile di poter vedere il nostro caro Papa nel nostro paese. Francesco è il profeta dell’età moderna. Ha spesso parlato di “prospettive dalla periferia” e ha esortato tutti i pastori a recarsi tra le pecore e ritornare “odorando di pecora”. Fedele alla sua parola, sta per recarsi da questo piccolo gregge di cattolici. Giungerà in un momento in cui il paese fa notizia a causa della migrazione di migliaia di persone. C’è la grande speranza che la sua presenza riesca a sciogliere il cuore di tutti e spingere il paese verso una pace duratura.

Verrà a vedere una grande nazione, ricca di colori. Il buddismo theravada è la religione maggioritaria. La pratica popolare di meditazione vipassana (consapevolezza) è nata qui. Il monachesimo e l’ascetismo sono parti integranti del buddismo. Nei monasteri buddisti ci sono 500.000 monaci e 70.000 monache, che vivono una vita di testimonianza, con le loro ciotole delle elemosine.

Il cristianesimo è arrivato nel sedicesimo secolo, quando i contatti commerciali con Goa portarono qui alcuni missionari. Inizialmente la vita per i cristiani era difficile. Una volta furono uccisi alcuni cristiani laici e quattro sacerdoti, mentre i sopravvissuti si rifugiarono nella parte centrale del paese. Quella comunità è ancora prospera e fonte di molte vocazioni. Nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, i missionari cattolici tornarono nuovamente in Myanmar. Questa volta, grazie alle buone relazioni con i re e il dialogo col buddismo, poterono muoversi all’interno del paese. Il gruppo etnico bamar, che aveva una grande tradizione buddista, non accolse con entusiasmo il messaggio del Vangelo, ma le altre comunità etniche accolsero la fede. Oggi il 90 per cento dei cristiani appartiene a queste comunità. Si trovano cristiani tra i kachin, i kayah, i chin e i karen. Ma ci sono anche cristiani di origine cinese o indiana.

Il cristianesimo ha avuto la sua buona dose di sofferenza, specialmente dopo l’indipendenza dagli inglesi. Il paese iniziò come democrazia, scivolando però poi nel conflitto cronico, perché il governo scelse di favorire una religione, una lingua e una razza. Per due volte i profondi problemi economici portarono a un colpo di stato. Nel 1964 prese il potere una giunta militare. Gli anni successivi furono una vera via crucis. Tutti i beni della Chiesa — che gestiva alcune delle scuole migliori raggiungendo anche le aree più lontane — furono nazionalizzati. I missionari furono espulsi. Da un giorno all’altro la Chiesa si ritrovò letteralmente in mezzo alla strada. Un’ideologia detta “via birmana al socialismo” ha praticamente impoverito il paese che un tempo era il più ricco del sud-est asiatico.

La giovane Chiesa ebbe grosse difficoltà. Il seminario fu lasciato senza professori. Ma la fede profonda e la generosità dei cattolici, insieme al lavoro intenso, hanno fatto sì che la Chiesa non sia solo sopravvissuta, ma addirittura prosperata. Da tre diocesi, ora è arrivata a sedici. I 160 sacerdoti iniziali sono diventati 900, le religiose da 200 sono oggi 2400; un esercito di catechisti svolge un lavoro encomiabile tra le comunità più remote. I sacerdoti e i religiosi sono molto giovani e mostrano un profondo impegno.

La Chiesa è protagonista nella missione sociale. Ha una rete di 16 uffici Caritas, con 800 persone che svolgono servizi qui molto apprezzati dalle Nazioni Unite e dalla comunità diplomatica. È in prima linea quando avvengono catastrofi naturali e nell’aiuto ai rifugiati.

Dal 1990 il paese si è lentamente aperto e la Chiesa ha potuto inviare all’estero il suo personale per brevi periodi di formazione. E quando nel 2010 c’è stato l’avvento della democrazia è iniziata una nuova primavera. Nel 2014, per la prima volta, l’intera Chiesa si è riunita per celebrare i 500 anni del cattolicesimo. Nel 2017 i vescovi del Myanmar hanno elaborato un piano missionario quinquennale. I cinque ambiti principali sono: educazione, sviluppo umano, progresso delle donne, protezione della natura, iniziative interreligiose per la pace.

Il Papa visiterà un paese che tradizionalmente veniva chiamato “terra d’oro” (Suvarna Bhumi); un paese coloratissimo, composto da 8 tribù e 135 sotto-tribù; un paese permeato da due tradizioni: il buddismo theravada maggioritario e la cultura indigena delle popolazioni etniche; un paese con milioni di pagode; un paese situato strategicamente tra due giganti economici: l’India e la Cina; un paese molto giovane, in cui l’età media è di appena 27 anni, e quasi la metà della popolazione ne ha meno di trenta.

Il suo cuore misericordioso si sentirà sciogliere dinanzi alle ferite del passato, come anche dinanzi alle nuove ferite di una nazione che sta rincorrendo una pace e uno sviluppo sfuggenti. Sentirà parlare degli infiniti conflitti etnici, dello sfollamento di migliaia di persone, delle storie strazianti di milioni di giovani costretti a cercare lavoro nei paesi vicini. Sentirà raccontare come i giovani innocenti del Myanmar sono diventati schiavi moderni e schiavi del mare nei paesi vicini. Sentirà parlare delle generazioni passate che, a causa della mancanza di un’educazione di qualità, sono morte senza conoscere le proprie capacità.

Sentirà inoltre parlare dell’estremismo che sta alzando la testa e mettendo a disagio tutti in un paese noto per la grazia e la profondità spirituale. Sentirà parlare dei discorsi di odio di alcuni individui che dovrebbero diffondere pace e riconciliazione. Il suo cuore andrà incontro a tutte le religioni per rendere la religione uno strumento di pace.

Vedrà anche un paese che si sta affrettando a prendere il proprio posto sulla scena globale. E vedrà che la maggior parte delle persone sono bisognose di aiuto perché vittime di un’economia clientelare che rifiuta di integrarle. Come paladino della giustizia ambientale, il Santo Padre pregherà perché il paese segua il cammino dell’equità e della protezione del creato. Vedrà anche un paese che si sta impegnando per ottenere il consenso internazionale dopo i recenti eventi che hanno spinto molte persone a rifugiarsi nei paesi vicini. Cercare consenso, perfino nominare il popolo che soffre, è una sfida per tutti. Anche il nome “rohingya” è contestato. Egli incoraggerà tutte le parti a investire nella pace. Pregherà, come ha sempre fatto, per la dignità umana di tutte le persone, a prescindere dalla religione o dalla razza. C’è grande attesa per quanto dirà nei suoi discorsi. E dopo la sua visita in questo paese, si recherà in Bangladesh, che ha accolto migliaia di profughi.

Secondo il commento di un leader della Chiesa, questa visita è una «cospirazione di grazia»! La piccola Chiesa non avrebbe mai sognato che il capo della Chiesa cattolica sarebbe venuto a visitare questo paese. I cattolici sono appena 700.000. Il paese è tra i più poveri al mondo. La Chiesa sopravvive in mezzo a sfide difficili. Il tema della visita è: il Papa missionario di «amore e pace». Considerati i decenni di conflitto e il dramma degli sfollati, come anche la necessità che le diverse comunità investano nella pace, il Papa parlerà della pace basata sull’amore. Tra l’altro, il buddismo predica ai suoi fedeli due virtù che al Papa stanno molto a cuore: la compassione (karuna) e la misericordia (metta).

La visita si svolgerà in un momento molto delicato della storia del Myanmar, in cui l’attenzione e la preoccupazione del mondo sono rivolte alle migliaia di persone sfollate di recente. Le ferite devono guarire. E il paese attende con speranza le parole e i gesti del Santo Padre, che porteranno una maggiore comprensione. Ci sono problemi delicati e alcuni si preoccupano per il viaggio. Il Papa è una persona che può raggiungere ogni uomo o donna in qualsiasi parte del mondo. Parla una lingua del cuore comprensibile da tutti. A Cuba, in Colombia e altrove, il Pontefice ha “guarito” con la sua personalità e le sue parole. La Chiesa in Myanmar è fiduciosa che anche questa visita sarà un tempo di grazia e di pace per la gente birmana. Il Papa è un pellegrino di pace che cammina con tutte le persone sofferenti in Myanmar. Prega perché le ferite guariscano, sperando e invocando il Signore per una nazione pacifica e prospera, che affermi i diritti di tutti coloro che sono nati in questa “terra d’oro”.

Cardinale arcivescovo di Dhaka Patrick D’Rozario

Ancora una volta la Chiesa cattolica in Bangladesh è pronta a ricevere la visita di un Papa. Francesco sarà il terzo a toccare il nostro suolo, dopo Paolo VI, che a mezzanotte del 26 novembre 1970 sostò un’ora all’aeroporto di Dhaka per portare vicinanza, preghiere e un aiuto caritativo alle vittime della grandissima inondazione e del ciclone avvenuti due settimane prima, e dopo Giovanni Paolo II, giunto il 19 novembre 1986 per un viaggio che ebbe come principale tema pastorale «comunione e fratellanza».

Anche questa visita verrà vista nella prospettiva del tema scelto: «armonia e pace». La gente in Bangladesh e la Chiesa locale considerano il pellegrinaggio di Francesco come un’opzione per i poveri del paese, che continuano a lottare per vivere i valori umani e spirituali in un contesto di vulnerabilità. Con il Pontefice arriva “la Chiesa dei poveri e la Chiesa per i poveri” per confermare nella fede e nella testimonianza cristiana il “piccolo gregge” che vive e serve come “sale” e “luce” per la nazione.

Nel 2018 ricorrerà il quinto centenario dell’arrivo dei primi cristiani; erano commercianti provenienti dal Portogallo, che si stabilirono a Diang, Chittagong, nel 1518. La visita del Papa inaugurerà le celebrazioni giubilari per i cinquecento anni di presenza cristiana in questa parte del subcontinente. Questo territorio della Chiesa fu accorpato a quello della diocesi di Cochin nel 1598, anno in cui approdarono i primi due padri missionari gesuiti, Francesco Fernandes e Domingo D’Souza. Nel 1600 furono costruite due chiese: una a Chandecan (Iswaripur, Jessore), l’altra nella provincia di Chittagong, a Bandel. Il sacerdote gesuita Francesco Fernandes è considerato il primo martire in Bengala. Dopo essere stato sottoposto a torture in una grotta, morì il 14 novembre 1602.

Attualmente la Chiesa conta otto diocesi. Quella di Dhaka è stata eretta nel 1886 ed elevata a sede metropolitana nel 1950. Sono seguite poi le erezioni di Chittagong nel 1927 (elevata ad arcidiocesi il 2 febbraio scorso) e Dinajpur, sempre nel 1927; Khulna, nel 1952; Mymensingh, nel 1987; Rajshahi, nel 1990; Sylhet, nel 2011; e Barisal, nel 2015. Il primo vescovo locale è stato Theotonius Amal Ganguly, della congregazione di Santa Croce: consacrato nel 1960, sette anni dopo è stato promosso arcivescovo. È stato dichiarato servo di Dio nel processo di canonizzazione. Attualmente tutti gli ordinari sono originari del Bangladesh. Il primo protestante giunto in Bengala nel 1793 fu William Carey, che annunciò una nuova era missionaria nella regione. Insieme a lui arrivò la Società missionaria battista, seguita da molte altre organizzazioni dall’Inghilterra, dalla Nuova Zelanda, dall’America. Dopo la guerra d’indipendenza, nel 1971 in Bangladesh affluirono altre società missionarie protestanti. Esse stabilirono anche chiese, realizzando e gestendo diverse istituzioni e organizzazioni educative, sanitarie e assistenziali. Attualmente il numero di protestanti è stimato intorno a 200.000, vale a dire circa il 30 per cento dell’intera popolazione cristiana.

In Bangladesh vivono circa 162 milioni di persone. I cristiani rappresentano solo lo 0,4 per cento di fronte a una maggioranza prevalentemente musulmana (88 per cento). Tra i cristiani, i cattolici sono circa il 70 per cento. Il gruppo etnico più grande tra i cattolici è quello dei bengalesi (385.000), che appartengono al 98 per cento della popolazione nazionale. Tuttavia, i cattolici provenienti da oltre 34 gruppi etnici tribali costituiscono circa il 49 per cento della popolazione cattolica totale. La Conferenza episcopale (Cbcb) è stata istituita nel 1971, subito dopo l’indipendenza dal Pakistan.

Sebbene la Chiesa cattolica rappresenti una piccolissima minoranza, Dio l’ha benedetta con molte vocazioni. Attualmente, nel paese operano 35 congregazione religiose e società apostoliche, maschili e femminili, alcune delle quali sono note istituzioni missionarie. Anche uno dei membri della congregazione di Santa Croce, fratel Flavian Doria Laplante (1907-1997), “apostolo dei pescatori”, è stato dichiarato servo di Dio. E la stessa santa Teresa di Calcutta è considerata molto vicina al Bangladesh, dove si è recata spesso, viaggiando tanto e fondando numerosi conventi per le sue missionarie della carità.

Nelle otto diocesi del paese ci sono circa cento parrocchie. I 75 tra ospedali, cliniche e dispensari gestiti dalla Chiesa forniscono soprattutto assistenza generale e sono accessibili principalmente alle persone meno avvantaggiate ed emarginate. Sono considerati l’unico modo per accedere a cure mediche nelle aree più remote.

Il programma pastorale viene attuato anche dalle famiglie e dalle piccole comunità cristiane di base attraverso istituzioni educative e mediche, centri sociali e pastorali e attraverso organizzazioni, associazioni e movimenti in cui i laici sono molto attivi. La Caritas è una delle principali organizzazioni non governative locali ed esistono associazioni laiche che svolgono opere di carità e misericordia tra i poveri. Le “unioni cooperative e di credito per lo sviluppo sostenibile” sono tra i più grandi contributi dati dalla Chiesa alla nazione. Avviate da missionari stranieri, ora sono governate e gestite interamente da laici che hanno portato la comunità cristiana a raggiungere l’autonomia economica. Esse sono presenti in quasi tutte le parrocchie e in tutte le diocesi.

Diversi sono i programmi e i seminari per la promozione delle donne. I cattolici sono per la maggior parte praticanti e profondamente devoti, ed esprimono la fede attraverso le preghiere, la pietà popolare e gli esercizi spirituali. Nella gerarchia c’è un forte senso di collegialità tra gli stessi vescovi, tra i vescovi e i sacerdoti e tra i sacerdoti.

La Chiesa incide sulla società specialmente attraverso l’educazione, l’assistenza sanitaria, le opere caritative, le attività di sviluppo umano, il dialogo interreligioso e l’ecumenismo. Infatti in media, circa il 60-70 per cento dei collaboratori della Chiesa nelle istituzioni e nei servizi educativi, sociali, sanitari, caritativi e di sviluppo appartiene ad altre religioni.

L’islam è giunto nella regione bengalese durate il settimo secolo, attraverso commercianti arabi musulmani e missionari sufi. E la successiva conquista musulmana del Bengala nel dodicesimo secolo ha portato alla diffusione di questa religione nella regione. Sotto i governanti musulmani, il Bengala è entrato in una nuova era: furono costruite città; spuntarono palazzi, fortezze, moschee, mausolei e giardini; e nuove vie commerciali portarono prosperità e ricchezza culturale. Il rinascimento bengalese giunse come movimento di riforma sociale tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, nel periodo del dominio britannico.

Nel diciannovesimo secolo c’è stata una fioritura unica di riformatori religiosi e sociali, studiosi, giganti della letteratura, giornalisti, oratori patriottici e scienziati, che hanno modellato il volto del rinascimento, segnando la transizione dal “medievale” al “moderno”.

In Bangladesh esiste anche una popolazione tribale, costituita da circa un milione di persone (0,6 per cento del totale) appartenenti a 34 gruppi. Le sette maggiori tribù sono i chakma e i marma, che sono principalmente buddisti, i tripura, che sono o indù o animisti e vivono nelle colline di Chittagong, i garo, nella regione di Mymensingh, e i santal, gli oraon e i khasi nel nord. Si distinguono dagli altri abitanti del paese per la loro organizzazione sociale, le tradizioni matrimoniali, i riti legati alla nascita e alla morte, il cibo e altre usanze. Sono detti adivashi e oggi sono maggiormente integrati nella comunità bengalese: parlano bengali e hanno la cittadinanza legale. Come già detto, quasi la metà dei cattolici sono non-bengalesi e appartengono a queste comunità tribali. Anche se il rispetto delle altre religioni, l’esistenza dell’identità e dell’affinità culturale e la comunione spirituale vengono promosse e celebrate, talvolta l’armonia e le relazioni interreligiose sono minacciate da terroristi, fanatici e fondamentalisti, nonché da gruppi militanti ed estremisti e dalle loro attività sovversive. Queste azioni violente contro gli appartenenti a religioni minoritarie stanno portando una situazione nuova nella cultura esistente.

I rapporti molto amichevoli tra la Santa Sede e il governo del Bangladesh proseguono ininterrotti. L’ultima visita di Giovanni Paolo II nel 1986 e quella imminente di Papa Francesco sono due pietre miliari di una relazione cordiale, umana e spirituale. La voce del Papa sulle questioni internazionali viene ascoltata con particolare attenzione e convinzione, e la sua sollecitudine paterna è stata espressa, ad esempio, per le ingiustizie nei confronti dei lavoratori tessili, per le vittime di diverse catastrofi naturali e causate dall’uomo, per i rifugiati provenienti dal Myanmar, per la situazione di vulnerabilità locale a causa dei cambiamenti climatici. Il governo dovrebbe adottare misure particolari per garantire le comunità tribali riguardo al diritto alla terra, la casa, l’ambito familiare e l’ambiente.








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