2014-09-19 14:18:00

Evangelii Gaudium in Vaticano: interviste con Fisichella e Vanier


Circa duemila i partecipanti all’Incontro internazionale promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione incentrato sull’Esortazione “Evangelii Gaudium”. Ai lavori partecipano  vescovi e operatori pastorali provenienti da 60 Paesi. Ma come fare arrivare l'annuncio del Vangelo alla società attuale? Marina Tomarro  ne ha parlato con mons. Rino Fisichella, presidente del dicastero della nuova evangelizzazione:

R. – Innanzitutto, l’ascolto della Parola di Dio e la contemplazione della Parola di Dio. Papa Francesco è stato molto chiaro in proposito, ha detto: l’evangelizzazione si fa in ginocchio. Una volta che abbiamo questa dimensione, per cui abbiamo di nuovo fissato lo sguardo sull’essenziale, su Gesù Cristo, sulla Parola che ci salva, la grazia trasforma il cuore e ci rende anche capaci di “partecipare ad altri” questa dimensione. Ovviamente c’è il grande tema della formazione: in che modo possiamo vivere e comunicare questa speranza, avendo al centro e a fondamento la Resurrezione di Gesù, e dare questa speranza come risposta alle grandi domande, che sono sempre presenti nel cuore di ogni persona. Quindi lontano dal pensare alla formazione e alla pastorale come qualcosa di teorico, ma come una realtà fortemente esistenziale.

D. – Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium parla di audacia e creatività...

R. – Sono parole molto significative. Audacia significa fare in modo di sentire la responsabilità che il Signore ha nei nostri confronti e con la quale ci ha investiti. Allora, se Dio si fida di noi, vuol dire che io devo rimboccarmi le maniche, avere coraggio, perché sono sostenuto dalla sua grazia. La creatività significa appunto essere capaci di non vivere la realtà come un’ovvietà. Abbiamo invece bisogno di capire che le persone ci chiedono realmente una parola che dia speranza, che dia forza, soprattutto in un periodo così profondo di crisi, come quello che il mondo sta vivendo per tante situazioni.

D. – Spesso Papa Francesco parla di una Chiesa accogliente, cosa vuol dire?

R. – Una Chiesa accogliente significa una Chiesa che non ha le porte chiuse, non solo metaforicamente: è una Chiesa che sa accogliere quanti bussano alla sua porta. Per alcuni versi l’accoglienza è non permettere neppure che qualcuno bussi, ma essere noi soprattutto già sulla porta per consentire l’ingresso.  

E tra i relatori dell' incontro anche Jean Vanier fondatore della comunità dell' Arca, dove sono accolte amate e curate persone con disabilità fisiche e mentali. Ascoltiamo il suo commento.  

R. - Je crois que toute la vision de l’evangelisation …
Penso che tutta la visione dell’evangelizzazione sia gioiosa, perché abbiamo ricevuto la Buona Novella! Il mondo non è solo un mondo di violenza, ma il Verbo si è fatto carne, Dio è venuto per dirci qualcosa. Dio ama l’umanità, Dio è presente. Questo non significa che non ci sia la lotta contro il male. C’è la violenza nel mondo; c’è la violenza in me e in noi tutti. Ma Gesù è più forte e conserviamo la speranza che Egli ci aiuti a crescere: questa è la fonte della gioia!            

 D. - Lei ha aiutato tante persone: perché secondo lei la società di oggi ha difficoltà ad accettare persone con la malattia, persone differenti, persone che hanno più difficoltà a vivere nella quotidianità …

 R. - On est dans un monde très difficile. On a passé …
Viviamo in un mondo molto difficile. Siamo passati da un mondo estremamente strutturato, dove c’era una certa visione della società. Adesso viviamo in un mondo molto individualista, molto competitivo, anche nella Chiesa. Quindi non è facile. Forse la più grande difficoltà è che gli elementi fondamentali sono stati danneggiati: la famiglia, perché ciascuno di noi ha bisogno di una comunità, di una famiglia, di una parrocchia! Abbiamo perso questo senso dello stare insieme. Quando non siamo insieme non esiste comunità. È difficile affrontare il mondo in questo modo. Tutti ci sentiamo soli e nello stesso tempo la televisione mostra molta violenza, sesso, … Per i giovani è complesso… Ciò che è importante è che proviamo a restare insieme da qualche parte sia nella famiglia che nei piccoli gruppi all’interno delle parrocchie per sostenerci a vicenda.

 D. - Cosa spinge ad occuparsi degli ultimi? In che modo si entra in comunione con queste persone, con i disabili, con i malati, con coloro che sono messi da parte dalla società di oggi?

 R. - On est dans un monde de communication …
Siamo nel mondo della comunicazione, ma non sempre in un mondo di presenza, nel senso che comunichiamo facilmente con smartphone, internet, … I giovani sono abituati a molta comunicazione, ma spesso non alla presenza. Allora bisogna provare a ritrovarsi, perché ciò di cui le persone malate, quelle che si sentono sole, hanno bisogno è la presenza e l’amicizia.








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