2016-04-01 11:09:00

Libia: Ghwell lascia Tripoli, 10 città appoggiano al-Serraj


Dieci città della Libia, tra le quali Sabrata e Zuwara, annunciano il loro "sostegno al governo di concordia  nazionale" dopo l'arrivo nella capitale libica del Consiglio presidenziale con a capo Fayez al-Serraj. Intanto, secondo fonti di stampa, il premier Khalifa Ghwell, ostile al governo unitario, ha lasciato Tripoli per far ritorno nella sua città natale a Misurata. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo storico e scrittore Paolo Sensini esperto dell’area:

R. – E’ uno scenario confuso. Il fatto che ci siano dieci città a dare l’appoggio a Sarraj non è garanzia di alcunché. Vi è una mutevolezza continua, cambi di schieramenti, salti da parte delle milizie. Come lo hanno fatto in precedenza possono ribaltare anche in questa occasione. Il problema è che ancora una volta si continua a voler calar dall’alto delle soluzioni per la Libia con figure non riconosciute localmente e che non possono far altro che incubare ancora di più fonti di conflitto.

D. - Quali sono le vie da percorrere per una stabilizzazione del Paese?

R. - Una soluzione – sicuramente molto complicata – è Saif-al-Isalm, il figlio di Gheddafi che si trova nelle mani della milizia di Zintan e che è l’unico personaggio che può effettivamente giocare qualche carta, perché legato al territorio ed è figura di ponte con l’Occidente essendosi formato anche in Europa. Bisogna ripartire dalla Libia, se davvero si vuole stabilizzarla; bisogna provare soluzioni interne, certamente complesse, difficili, ma sono le uniche che hanno una parvenza di concretezza.

D. - Ma la Libia di oggi accetterebbe questa figura?

R. - Sicuramente è difficile. C’è una parte di Paese, per esempio le milizie che adesso governano a Tripoli, quella parte di Khalifa Ghwell - diciamolo - è al Qaeda. Tutti coloro che oggi sono lì e che governano sono appartenenti al gruppo terroristico; pensiamo solo al sindaco di Tripoli, Mahdi al–Harati, era uno dei leader del gruppo islamico combattente della Libia: è la sezione libica di al Qaeda. Lì ci sono queste forze che sono appoggiate da Turchia, Fratelli musulmani e Qatar che ovviamente hanno tutto l’interesse a tenere un piede ben dentro le questioni libiche. E’ proprio questo il problema: mettere da parte queste forze e cercare di recuperare quel tessuto che probabilmente in Libia ancora c’è e che può assicurare una continuità rispetto al passato, questo può non piacerci rispetto ai nostri standard di democrazia, ma sicuramente lì aveva una sua stabilità ed una sua ragion d’essere.

D. - Subito dopo la caduta di Gheddafi abbiamo visto un regolamento di conti a livello clanico …

R. - Non abbiamo nessuna sicurezza su quello che accadrà in Libia. Dico che le uniche carte ragionevoli, se vogliamo davvero pensare che il Paese possa ricostituirsi come Stato unitario e con una laicità, non come un’enclave spostata rispetto al contesto del vicino Oriente dello Stato islamico, a mio avviso è quella della rappresentanza interna.

D. - C’è chi ipotizza invece di compattare la Libia di dividerla nella sua storica configurazione: ovvero Fezzan, Cirenaica e Tripolitania …

R. – Forse era uno degli intenti iniziali, dividerla a seconda dei Paesi: Francia, Gran Bretagna e Italia che sono stati i responsabili di questa operazione. In Cirenaica ci sono grandi giacimenti petroliferi ed ora è in condominio tra Francia e Gran Bretagna; l’Italia probabilmente punterebbe sulla Tripolitania dove è ben basata… Questa della divisione è una possibilità molto concreta, ma a mio avviso è una cattiva soluzione perché complicherebbe ancora di più la situazione sul campo.

D. - Il presidente degli Stati Uniti Obama e la cancelliera tedesca Merkel hanno ribadito ancora una volta che se non si risolve la quesitone libica, il Paese diventerà un covo permanete dello stato islamico …

R. - Ora si parla dell’Is ma non c’è molta differenza tra Al Qaeda o Stato islamico. Le forze di al Qaeda sono quelle che sono state favorite nella rivolta della Cirenaica spacciandole per forze democratiche. Se veramente si vuole intervenire, bisogna favorire quelle forze laiche e secolariste che c’erano e che bisogna cercare di reinsediare.

D. - Dunque il danno è stato fatto togliendo Gheddafi?

R. – Chiunque oggi lo riconosce. Poteva non piacerci il suo stile di governo, che certamente poteva migliorare; la Libia era il primo Paese per indice dello sviluppo africano e nulla aveva che fare con il caos e con l’ecatombe in cui è stato fatto cadere principalmente dall’Occidente, da quelle stesse forze che oggi si vogliono erigere a standard di nuova governance per il Paese.








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